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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 24/07/2007
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 10/07
Parti: Umberto V. / SDA Express Courier S.p.A.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – CONTESTAZIONE GENERICA – ILLEGITTIMITA’ – POSSIBILITA’ PER IL GIUDICE DI PRIMO GRADO DI ESAMINARE ANCHE IL MERITO – NATURA DI ONLUS – ONERE DELLA PROVA AI FINI DELL’APPLICABILITA’ O MENO DELL’ART. 18 – APPELLO INCIDENTALE: TEM


LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – CONTESTAZIONE GENERICA – ILLEGITTIMITA’ – POSSIBILITA’ PER IL GIUDICE DI PRIMO GRADO DI ESAMINARE ANCHE IL MERITO – NATURA DI ONLUS – ONERE DELLA PROVA AI FINI DELL’APPLICABILITA’ O MENO DELL’ART. 18 – APPELLO INCIDENTALE: TEMPESTIVO DEPOSITO DELL’ATTO IN MANCANZA DI NOTIFICA – POSSIBILITA’ DI REMISSIONE IN TERMINI.

Art. 7 legge n. 300/1970

Art. 4 legge n. 108/1990

Art. 8 della legge n. 604/1966

Art. 18 legge n. 300/1970

Art. 436, comma terzo, cod. proc. civ.

Accusate di aver posto in essere una diffamazione pubblica nei confronti del Pensionato presso il quale prestavano la loro attività, due lavoratrici dipendenti di una Fondazione impugnavano i licenziamenti con ricorsi d’urgenza avanti al Tribunale di Ferrara, che venivano respinti dal giudice monocratico ma accolti dal Collegio in sede di reclamo, che ordinavano la loro reintegrazione nel posto di lavoro. Nel giudizio di merito le ricorrenti chiedevano accertarsi l’illegittimità del licenziamento in via principale per violazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 (stante la genericità della contestazione disciplinare), in via subordinata per carenza di giusta causa o giustificato motivo. Il Tribunale, dopo aver accertato che la locuzione utilizzata nella contestazione disciplinare “non poteva essere oggettivamente considerata come come una espressione adatta a rilevare comportamenti specifici”, entrava comunque nel merito della condotta contestata (ritenendola “di per sé potenzialmente lesiva del rapporto fiduciario tra le parti”) e, in parziale accoglimento delle domande, sanzionava l’accertata illegittimità dei licenziamenti con la sola tutela obbligatoria offerta dall’art. 8 della legge n. 604/1966 per non aver le lavoratrici provato i requisiti dimensionali, e precisando – comunque – che il datore di lavoro non aveva fornito adeguata prova dell’effettivo inquadramento della fondazione nelle organizzazioni di tendenza.

La Corte d’Appello di Bologna, con riferimento al primo motivo d’appello delle due lavoratrici, corregge l’impostazione del primo giudice richiamando l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui “le dimensioni dell’impresa costituiscono (…) fatti impeditivi del diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro” (Cass. S.U. n. 141/2006; conf. Cass. n. 12722/06; Cass. n. 13945/06; Cass. n. 15948/06; Cass. n. 19276/06) che nel caso concreto si era limitato ad affermare di essere una organizzazione di tendenza. A tale proposito i giudici bolognesi rammentano che, secondo consolidata giurisprudenza (v., tra le tante, Cass. n. 12926/99; n. 18218/02; n. 12634/03; n. 10155/05; n. 20442/06) al fine di configurare una organizzazione di tendenza è necessario che si tratti di datore di lavoro “non imprenditore”, privo dei requisiti previsti dall’art. 2082 cod. civ. (e cioè professionalità, organizzazione, natura economica dell’attività): in altri termini “l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta legge n. 108 del 1990 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento in concreto da parte del giudice di merito dell’assenza nella singola organizzazione di una struttura imprenditoriale e della presenza dei requisiti minimi dell’organizzazione di tendenza, così come definita dalla stessa legge all’art. 4” (Cass. S.U. n. 141/2006). Poiché il Tribunale di Ferrara aveva dichiarato che la fondazione non aveva dimostrato di essere una organizzazione di tendenza e la Onlus non aveva ripreso nella propria memoria di costituzione in appello la eccezione – contenuta per la prima volta nelle note difensive autorizzate in primo grado – di essere un “ente no profit” senza “carattere imprenditoriale” e “scopo di lucro” –, la Corte d’Appello di Bologna dichiara essersi formato il giudicato interno in ordine alla citata affermazione del primo giudice.

Il secondo motivo d’appello era relativo ad un aspetto processuale: le lavoratrici lamentavano che il primo giudice, dopo aver accertato la violazione delle garanzie processuali previste dall’art. 7 della sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione dato che, per effetto dell’accoglimento della domanda principale, non avrebbe più potuto procedere all’esame di quelle subordinate in ordine alle quali – se non impugnate – avrebbe potuto formarsi giudicato interno: con altri termini le censure proposte solo in via subordinata dovevano ritenersi assorbite dal vizio procedurale. La Corte d’Appello esclude che vi sia stata violazione dell’art. 112 cod. civ. dal momento che il Tribunale ha mantenuto la portata della decisione nell’ambito delle domande e delle eccezioni prospettate dalle parti. Nel merito la sentenza qui commentata richiama la giurisprudenza del Supremo Collegio secondo cui “la sentenza del giudice del merito che, dopo aver aderito alla prima ragione, esamini ed accolga anche la seconda, al fine di sostenere la decisione pure nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato, ma configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata e, pertanto, può essere utilmente impegnata solo mediante la censura di entrambe” (v. Cass. n. 21490/05; n. 3236/85).

In realtà nel caso della sentenza impugnata il giudice di primo grado non aveva accolto la seconda ragione, in quanto aveva dichiarato che, nel merito, la condotta tenuta dalle lavoratrici sarebbe comunque incompatibile con l’elemento fiduciario: quindi il caso era diverso da quello in cui entrambe le rationes decidendi erano autonomamente sufficienti a sorreggere la soluzione adottata. La Corte d’Appello di Bologna sul punto non appare quindi del tutto convincente, salvo per l’affermazione secondo cui “la decisione del Tribunale di Ferrara si fonda, esclusivamente, sulla illegittimità dei licenziamenti per la riscontrata violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 (…) per cui tutte le ulteriori argomentazioni contente nella sentenza in ordine alla esistenza o meno della giusta causa e sulla valutazione della condotta delle lavoratrici (…) qualora si ritenessero estranee al contenuto della decisione in concreto assunta dal giudicante, non assumono alcuna rilevanza e, come tale, non sono suscettibili di passare in giudicato”.

La Corte d’Appello affronta poi l’unico motivo dell’appello incidentale finalizzato ad ottenere la dichiarazione di illegittimità dei licenziamenti per grave violazione dell’obbligo di fedeltà. L’appello era stato proposto mediante costituzione in cancelleria dieci giorni prima dell’udienza, ma senza provvedere alla tempestiva notifica. I giudici bolognesi – a richiesta dell’appellante incidentale – concedevano nuovo termine per la notifica rinviando la causa a nuova udienza, accogliendo il principio, più volte affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la sanzione della decadenza dall’appello incidentale deve intendersi comminata dall’art. 436, comma terzo, cod. proc. civ. nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell’appellato (…) e non anche nel caso di omissione dell’adempimento, parimenti previsto dalla legge, della notificazione della memoria nello stesso termine. (…) Ne consegue che (…) il giudice deve concedere all’appellante incidentale nuovo termine, perentorio, per la notificazione omessa (o invalida)” (Cass. n. 14952/04; n. 3069/05; n. 17765/06).

Non essendo però, nel caso concreto, parte appellante incidentale comparsa alla successiva udienza, e non avendo conseguentemente documentato di ave